A Gorizia e provincia un giovane su cinque è Neet: l’acronimo inglese che sta per Not in Employment, Education or Training: detto in italiano un giovane su cinque non studia e non lavora. Percentuale altissima, se si pensa che siamo nel “ricco (ancora?) nordest”, che sarebbe da associare ad altri dati per avere un quadro più esaustivo su quale città, quale territorio i giovani si trovino a vivere, o sopravvivere, o in alcuni casi a non farcela.
Mi riferisco agli accessi a servizi quali il Sert o il CSM, alle statistiche sulla frequenza settimanale d’uso di alcolici, sull’età dell’approccio all’alcool, sulle overdosi o sui tentativi di suicidio nella fascia 14-30 anni ed altri ancora.
Stiamo faticosamente tentando di uscire da un periodo drammatico per quanto riguarda il benessere individuale e sociale, e la fascia d’età oggetto dell’indagine ha pagato in maniera pesante le misure anti covid.
Si stima per esempio che il 30% dei ragazzi in Italia non abbia ripreso a fare sport ora che c’è stata la riapertura. Dove vanno, questi ragazzi? Quali occasioni ci sono per incrociare le loro vite? Gorizia, si dice sempre, manca di spazi per i giovani. Quanti ne ha creati l’amministrazione in questi cinque anni?
Abbandonare la scuola, non avere lavoro, non cercarlo nemmeno a volte, non avere prospettive, sogni da inseguire, a quell’età sono campanelli d’allarme che richiedono orecchie allenate all’ascolto e occhi attenti a cogliere le sfumature che stanno dietro a rispondere bene quando qualcuno chiede come va, per chiudere subito il dialogo.
Se al disagio si risponde unicamente col divieto e non con l’ascolto si ottiene solo un allontanamento delle parti. A me sembra che in questi anni non si sia speso un euro, e nemmeno una parola, per i giovani. La Gorizia di domani deve a mio avviso investire tantissimo su questo. Andrea Picco
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