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Peteano tra verità e misteri

31 Maggio 2022 by Redazione Lascia un commento

Il 31 maggio 1972, una chiamata dal bar Nazionale di Monfalcone, fatta dal neofascista Carlo Cicuttini, fece accorrere in località Peteano di Sagrado tre volanti dei carabinieri che ispezionarono una 500 abbandonata con un foro di proiettile sul parabrezza e due fori sul finestrino. Nell’aprire il cofano della macchina vi fu un’esplosione che uccise Antonio Ferraro, Donato Poveromo e Franco Dongiovanni e ferì altri due carabinieri, Angelo Tagliari e Giuseppe Zazzaro.

La tragedia di Peteano rimase per anni in ombra, troppo vicina alla morte del commissario Calabresi del 17 maggio e dunque alla strage di piazza Fontana. Peteano inoltre era un luogo periferico ed ebbe un ridotto numero di vittime a paragone delle altre stragi. Fu l’unico attentato di cui si seppe chi era il responsabile. Si trattava di Vincenzo Vinciguerra, un neo fascista di Ordine Nuovo, attivo a Udine, che era in carcere dal 1979, dove scontava la pena per il dirottamento dell’aereo di Ronchi, di cui diremo. Vinciguerra iniziò a parlare con il giudice Felice Casson nel 1984 e si dichiarò responsabile della strage.

Il reo confesso da anni parla con la stampa, scrive articoli sui blog, interviene come testimone ai processi. Ha espresso giudizi e dato informazioni sulla strategia della tensione di importanza fondamentale. In un suo articolo scrive che la Venezia Giulia è la radice della nascita del terrorismo, perché qui, dopo la seconda guerra mondiale, fu sentita fortemente l’esigenza di combattere contro il pericolo comunista, riorganizzando i partigiani osovani ostili ai Garibaldini, nell’organizzazione O, che avrebbe poi dato vita a Gladio.

Nel nostro territorio si organizzarono, da parte della Nato, associazioni cosiddette di stay behind, addestrate contro il pericolo rosso e per operazioni di intelligence, di infiltrazione, di propaganda. La Venezia Giulia dunque fu il cuore oscuro delle molteplici forme che assunse la guerra fredda in Italia.

Le indagini furono assunte immediatamente dal Comandante della Legione di Udine, colonnello Dino Mingarelli, braccio destro del generale Giovanni De Lorenzo, ideatore del tentato colpo di Stato del 1964, il piano Solo. Con Mingarelli c’era il colonnello Antonino Chirico, anche lui proveniente da Udine. L’indagine fu, senza apparente motivo, sottratta alle autorità locali titolari dell’indagine, con tale aggressività e determinazione, che esse protestarono con il prefetto di Gorizia Vincenzo Molinari.

Le prime accuse cercarono di coinvolgere militanti di sinistra, ma dopo il tentativo di dirottamento dell’aereo Fokker, fatto da Ivano Boccaccio il 6 ottobre 1972 per estorcere 200 milioni che permettessero ai tre neo fascisti di espatriare, il caso poteva essere chiuso. I proiettili sparati da Boccaccio provenivano dalla pistola di Cicuttini, i cui bossoli erano stati lasciati accanto alla 500, Mauro Roitero, morto misteriosamente, aveva inviato sei lettere agli inquirenti in cui aveva fornito una descrizione dettagliata del telefonista del bar di Monfalcone, il paracadute in possesso di Boccaccio, ucciso nel tentativo di dirottamento, era stato comprato dal Vinciguerra. Invece le indagini si rivolsero a sei goriziani che nulla c’entravano con i fatti.

Perchè tanta fretta nell’indicare un’altra pista che allontanasse le ricerche dai neofascisti? Cosa bisognava nascondere? Diverse interpretazioni della vicenda hanno diviso Felice Casson da Guido Salvini e lasciano dunque aperte interpretazioni e responsabilità differenti. Una cosa è certa. Il processo durato vent’anni portò sul banco degli impitati e condannò Mingarelli e Chirico, altri riuscirono a scampare al processo grazie a provvedimenti fatti ad hoc come Almirante, altri per scadenza dei termini, ma gli avvocati Bernot, Battello, Maniacco e De Luca misero in luce i depistaggi, la falsificazione dei verbali, il nascondimento delle prove, la copertura dei colpevoli da parte di autorità e personaggi politici goriziani. Vinciguerra sostiene che i mandanti non potevano essere solo Mingarelli e Chirico che secondo lui obbedivano ad ordini venuta dall’alto. Insomma i misteri da chiarire sono ancora molti e riguardano il giudizio complessivo sulla strategia della tensione, la piena attendibilità di Vinciguerra, le radici storiche degli attentati e i mandanti dei delitti. In un post non è possibile riassumere le questioni in sospeso, ma ragionare oggi su quanto accadde negli anni ‘60/70 ci farebbe comprendere meglio lo stato di salute della nostra attuale democrazia. Anna Di Gianantonio

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