Da un lato ci sono le norme, rigide, fredde, astratte, dall’altro ci sono i casi della vita, complessi, dolorosi, sempre diversi. In mezzo c’è il magistrato, cui spetta il compito di trasformare le norme in vita.
Affinchè il risultato finale sia il più possibile equo è necessario che l’interpretazione e l’applicazione delle norme non sia puramente letterale ma sia ispirata da principi superiori, quali il diritto naturale e la Costituzione.
Perché questa premessa?
Perché, ancora una volta, il supremo organo dell’ordinamento giurisdizionale italiano, la Corte di Cassazione, interviene su una questione che vede soluzioni completamente diverse a seconda che, come dicevo sopra, ci si fermi alla lettera della norma o ci si lasci guidare, nella sua interpretazione, da principi di ordine superiore.
Il caso è quello di un migrante, espulso dall’Italia in quanto irregolare, con grave disabilità motoria.
Il Tribunale di Sorveglianza di Perugia aveva stabilito che “la disabilità non rientra tra le condizioni che il legislatore ha posto a fondamento del divieto di espulsione”.
I giudici della Corte di Cassazione affermano, invece, che la norma deve essere letta “in una prospettiva costituzionalmente orientata, alla luce dei principi affermati in materia dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e dalla Corte costituzionale”. Un’ interpretazione che tenga conto di questi principi non consente l’adozione di provvedimenti di espulsione che ledono quel “nucleo irriducibile” del diritto alla salute garantito dall’art.32 della Costituzione italiana e non adeguatamente tutelato nel Paese di provenienza del disabile.
La Suprema Corte continua stabilendo che, nel decidere su ricorsi presentati da migranti irregolari e disabili, si dovrà valutare caso per caso, tenendo presenti le disposizioni “di carattere umanitario in materia di categorie cosiddette vulnerabili”, la cui elencazione, contenuta nella Legge Bossi-Fini, è da considerare non esaustiva.
Per fortuna, c’è ancora “un giudice a Berlino” (o, meglio, a Roma)…!
so.sa.
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